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Il nuovo documento del Ministero della Salute sulla “Corretta alimentazione nella prima infanzia”

corretta alimentazione prima infanzia

Il 26 marzo 2015 il Ministero della salute ha istituito un cosiddetto tavolo di lavoro con il compito di elaborare linee di indirizzo sulla corretta alimentazione ed educazione nutrizionale del bambino nei primi anni di vita. Il tavolo di lavoro sarebbe rimasto attivo fino al 31 marzo 2016 per poi riferire al Ministero. Tutti i dettagli li trovate qui. Finalmente il 20 luglio 2016 il Ministero ha pubblicato un opuscolo dal titolo Corretta alimentazione ed educazione nutrizionale nella prima infanzia – F.A.Q.

Il Ministero chiarisce, qui, che: [p]erché il documento risultasse fruibile anche al pubblico dei non addetti ai lavori si è deciso di optare per un documento in forma di FAQ...

FAQ o Frequently Asked Questions vuol dire che il documento è in forma di domande e risposte. Tenete a mente queste righe in quanto torneranno utili più in là.

Che dire… Un anno di lavoro, più altri 4 mesi circa prima della pubblicazione del suddetto documento e il risultato è, in una parola…

penoso!

Un anno di lavoro ed è stato prodotto un documento di 5 pagine circa e meno di 2000 parole, composto da un sapiente mix di ovvietà e supercazzole che si sarebbe potuto scrivere senza problemi al bar davanti a un cappuccino e un cornetto.

Andiamo con ordine.

Gli autori del documento

  • Prof. Giovanni Corsello 
    Presidente Società Italiana di Pediatria (SIP)
  • Prof. Marcello Giovannini
    Presidente Società Italiana di Nutrizione Pediatrica (SINUPE)
  • Prof. Giuseppe Banderali 
    Direttore U.O. Neonatologia e Patologia Neonatale Az. Ospedaliera San Paolo – Università Milano
  • Prof. Riccardo Davanzo
  • Presidente tavolo tecnico operativo interdisciplinare promozione allattamento materno
  • Prof. Claudio Maffeis
    Direttore U.O Diabetologia, Nutrizione clinica e obesità ULSS 20 Verona
  • Prof. Mario De Curtis
    Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile Università di Roma La Sapienza
  • Dott.Marco Silano
    Istituto Superiore di Sanità –Dip. Sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare
  • Dott. Roberto Copparoni
    Ministero della salute – DGISAN uff. V – Nutrizione
  • Dott. Bruno Scarpa
    Ministero della salute – DGISAN uff. IV – Alimenti particolari e integratori   

Indubbiamente la lista è altisonante, ma già dall’inizio erano stati sollevati dei dubbi su un possibile conflitto di interessi, come possiamo leggere in questa lettera aperta della CIANB dove in particolare si chiede

una trasparente e formale dichiarazione di assenza di conflitti di interesse da parte degli esperti/componenti il Tavolo

Incuriosito ho fatto una piccola ricerca incrociata per i vari partecipanti e ho trovato quanto segue (seguo lo stesso ordine del precedente elenco)

[NB: Danone, Nestlé, ecc. sono le multinazionali che controllano le aziende del baby food e del latte artificiale. Ad esempio, se leggete Danone, immaginate Mellin.]

Premesso che nessuno ha fatto nulla di illegale mi chiedo, quanti dei partecipanti al Tavolo ricevono o hanno ricevuto fondi, finanziamenti, retribuzioni da parte delle multinazionali del baby food. Sulla pagina del ministero il conflitto di interessi non viene nominato affatto, neanche per dire che è assente. Non posso non chiedermi perché il Ministero non riesca a mettere insieme un gruppo di esperti senza legami con l’industria, o che questi legami li dichiari apertamente. Queste sono questioni fondamentali che nel campo della nutrizione, ma non solo, non possono rimanere inevase. Quando poi leggo che alcuni partecipanti al Tavolo hanno preso parte al lancio o alla promozione di attività legate all’industria del baby food, è più che lecito farsi venire dei dubbi. Certo, non ne consegue in nessun modo che quanto viene affermato nel documento sia in qualche modo inesatto, ma la trasparenza richiede a gran voce che ogni possibile conflitto di interessi venga dichiarato apertamente.

Il contenuto del documento

Vediamo cosa dicono gli esperti. Il documento è talmente breve che faccio prima a pubblicarlo per intero nei riquadri in blu sottostanti. Al di fuori dei riquadri trovate i miei commenti. Se invece volete leggere solo il documento, lo trovate qui.

1. Cos’è il divezzamento?

Con il termine divezzamento (più propriamente avvio dell’alimentazione complementare) si intende il passaggio da un’alimentazione esclusivamente lattea ad un’alimentazione semi-solida e poi solida, caratterizzata dalla progressiva introduzione dei cosiddetti “alimenti complementari, cioè alimenti diversi dal latte.

Temo che già cominciamo molto male. In documenti di questo genere i termini “divezzamento” e “svezzamento” non devono comparire perché al loro interno hanno insita l’idea del latte e, ancora di più, della tetta visti come vizio da togliere. Purtroppo invece la parola divezzamento viene utilizzata 18 volte, mentre “complementare” compare solo 6 volte, comprese le citazioni di altre fonti. Una svista di questo genere è sicuramente inaccettabile all’interno di un documento ufficiale così importante dove ogni parola deve essere soppesata con attenzione.

Questo passaggio deve avvenire nel momento in cui l’alimentazione lattea, da sola, non è più sufficiente a soddisfare le richieste nutrizionali del lattante, soprattutto per quanto riguarda l’apporto di energia, proteine, ferro, zinco e vitamine.

“Questo passaggio DEVE avvenire…” Che vuol dire “deve”? Viene forse la polizia a controllarmi o da un giorno all’altro mio figlio appassirà come un fiore privato dell’acqua? Di nuovo, questo genere di linguaggio è inaccettabile. La frase avrebbe dovuta essere scritta ad esempio così: “Questo passaggio solitamente avviene quando il bambino raggiunge il necessario sviluppo psicomotorio che coincide con il momento in cui l’alimentazione lattea da sola comincia a non essere più totalmente sufficiente.” Notare la differenza di enfasi. Non si parla più di obbligo; non c’è più la sindrome da cambiale in scadenza; non c’è più il messaggio (neanche troppo velato) che da un giorno all’altro il latte diventa acqua. Invece si mette in evidenza come questa transizione sia normalmente graduale.

Non esiste un momento preciso e uguale per tutti i lattanti in cui iniziare il divezzamento: il timing adatto per l’introduzione dei primi cibi diversi dal latte dipende da numerose variabili individuali, tra cui le specifiche esigenze nutrizionali, lo sviluppo neurofisiologico e anatomo-funzionale, la crescita staturo-ponderale, il rapporto mamma-bambino, le esigenze specifiche della mamma e il contesto socio-culturale.

Aridaje con questo divezzamento. Comunque il documento finora non ha fanno nulla per cercare di modificare “il contesto socio-culturale” di cui parlano, piuttosto lo ha rinforzato.

Sebbene il timing del divezzamento sia individuale, si cerca comunque di identificare approcci condivisi a livello della popolazione generale, rappresentata dai lattanti nati a termine, normopeso e in buona salute.

Per una volta dicono bene. Peccato però che non abbiano ampliato questo concetto molto importante. Una cosa è parlare di “popolazione”, un’altra è parlare di “singolo”. Se l’inizio dell’introduzione di alimenti diversi dal latte avviene in media intorno ai 6 mesi, prendendo in considerazione il singolo bambino ci possono essere variazioni anche molto forti. Chi conosce anche solo i rudimenti di statistica sa che le “popolazioni” sono distribuite lungo quella che si chiama “curva a campana” con un picco intorno ai sei mesi e code che si assottigliano mano mano che ci allontaniamo da questo, ma ciò non vuol dire che se un bambino inizia a interessarsi al cibo diverso dal latte a 5 o a 8 mesi sia in qualche modo “sbagliato” o vada corretto. Questi sono tutti bambini normali come quelli che prendono il loro primo boccone alla mezzanotte del giorno in cui compiono 6 mesi.

I diversi Organismi e Società scientifiche internazionali si esprimono in modo abbastanza concorde sul momento di inizio del divezzamento:

1. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda l’allattamento al seno esclusivo per i primi 6 mesi di vita (OMS, 2008) come pratica di salute pubblica per tutta la popolazione mondiale per raggiungere crescita e sviluppo ottimalie,conseguentemente, l’introduzione di alimenti diversi dal latte solo dopo i 6 mesi.

2. L’European Food Safety Authority (EFSA) ritiene che il latte materno sia sufficiente a soddisfare le esigenze nutrizionali nella maggior parte dei lattanti sino ai 6 mesi. Solo una percentuale inferiore di lattanti richiede un divezzamento più precoce per garantire una crescita e uno sviluppo ottimali. Laddove non sia possibile attendere i 6 mesi, il divezzamento non dovrebbe avvenire prima della 17^ settimana e comunque non oltre la 26^

3. La European Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition (ESPGHAN) considera l’allattamento esclusivo al seno un obiettivo desiderabile fino ai primi 6 mesi circa. In ogni caso, anche secondo l’ESPGHAN il divezzamento non dovrebbe essere avviato né prima della 17^ settimana di vita, né oltre la 26^.

4. L’American Academy of Pediatrics raccomanda l’introduzione di “alimenti complementari” non prima dei 4 mesi compiuti e indica comunque di proseguire l’allattamento al seno esclusivo fino ai 6 mesi.

Sto leggendo delle linee guida del Ministero o il post di un blog? Che senso ha fare copia/incolla di quello che dicono gli altri invece di dirmi (a torto o a ragione) qual è l’opinione informata del Tavolo di Lavoro? Leggendo distrattamente quel passaggio la conclusione che ne ricaverei è che lo svezzamento comincia dopo i 4 mesi e allattare fino a 6 è al massimo un di più (e GUAI aspettare oltre la 26ma settimana…).

Inoltre non dimentichiamo che le opinioni fornite non sono tutte equivalenti tra di loro. La più recente e di gran lunga la più autorevole è quella dell’OMS che è datata 2012 e non 2008. Per chi è interessato a saperne di più ne parlo in Perché allattare fino a 6 mesi? Le motivazioni dell’OMS.

L’allattamento al seno esclusivo nei primi 6 mesi offre benefici per la salute sia per il bambino che per la mamma.

Una adeguata valutazione della crescita e dello sviluppo neurofisiologico e anatomo-funzionale da parte del pediatra curante potrà suggerire il timing di avvio dell’alimentazione complementare. La crescita del lattante va valutata in riferimento alle “Growth Chart”dell’OMS. Eventuali significative deflessioni, tra i 4 e i 6 mesi, previa esclusione di una possibile patologia da parte del pediatra, comportano l’avvio dell’alimentazione complementare.

Chiaramente la curva di crescita ha maggiore importanza rispetto all’interesse del bambino verso i cibi diversi dal latte. Di nuovo, questo documento non fa nulla per modificare il contesto “socio-culturale” in cui viviamo.

Per quanto riguarda il ferro, i nati a termine allattati esclusivamente al seno ne mantengono solitamente scorte sufficienti per i primi 6 mesi. Nelle categorie a rischio di carenza (per esempio lattanti nati prematuri) è preferibile attuare una supplementazione individualizzata di ferro piuttosto che anticipare il divezzamento.

Di nuovo il concetto di cambiale in scadenza, questa volta specificamente per i bambini nati a termine e allattati al seno.

Il Ministero della Salute raccomanda che il divezzamento sia avviato, ordinariamente, dopo i primi sei mesi.

2. E’ importante allattare al seno durante il divezzamento?

Lo so, è fuori tema, ma mi chiedo… nelle tastiere del Ministero manca il tasto “È” dato che utilizzano un apostrofo per indicare una “E” accentata?

Il latte materno garantisce una nutrizione ideale, una crescita sana e uno sviluppo ottimale. Inoltre, offre al bambino benefici a medio e lungo termine e alla madre effetti favorevoli sullo stato di salute.

Il latte materno come componente “lattea” dell’alimentazione diversificata che inizia con il divezzamento offre in particolare i seguenti benefici:

per il bambino:

un ruolo protettivo contro le infezioni gastrointestinali e respiratorie e la morte in culla (SIDS o sudden infant death syndrome),

la riduzione dell’incidenza di alcuni tumori pediatrici (in particolare linfomi e leucemie), la riduzione del rischio futuro di obesità, di diabete tipo 2, di malattie cardiovascolari,

un effetto positivo sullo sviluppo neuro-cognitivo associato alla durata dell’allattamento al seno

per la madre:

la riduzione del rischiodi cancroal seno e all’ovaio e del diabete mellito di tipo 2;

una maggiore capacità in età senile di far fronte all’osteoporosi e alle sue complicanze perché l’apparato scheletrico si è “abituato” al rilascio di calcio durante il periodo dell’allattamento;

una opportunità per ritornare più velocemente al peso precedente alla gravidanza, considerando la spesa energetica necessaria per la produzione di latte.

Per molte donne la ripresa dell’attività lavorativa rappresenta un ostacolo all’allattamento e la causa della sua interruzione. Pertanto è opportuno organizzare nei luoghi di lavoro asili-nido con spazi adeguati da destinare a tale pratica per prolungarne la durata.

Il Ministero della Salute ritiene necessario incoraggiare e sostenere le mamme a continuare ad allattare durante il divezzamento e comunque fino a quando lo desiderano, anche dopo il primo anno di vita del bambino.

È certamente vero che conciliare lavoro e allattamento possa essere difficile, ma in un documento sulla “corretta alimentazione” ci si aspetterebbe qualcosa di più che una frasetta buttata lì. Ripeto, facendo attenzione al linguaggio utilizzato, specialmente se si parla di documenti ufficiali, contribuiamo a modificare la società che ci circonda perché aiutiamo a modificare il modo di pensare di chi ci legge. Se invece si continua a parlare di “divezzamento” e di cambiali in scadenza non si fa altro che rinforzare lo status quo.

3. Come introdurre gli alimenti durante il divezzamento

In linea generale, il lattante a sei mesi è pronto a ricevere cibi solidi. Infatti, intorno a questa età la maturazione intestinale si completa e lo sviluppo neurologico consente di afferrare, masticare e deglutire in maniera efficace.

Non esistono modalità e menù definiti per iniziare il divezzamento. Diversi modelli alimentari possono portare a soddisfare i fabbisogni nutrizionali del bambino tra 6 mesi e 3 anni. Va favorita l’interazione tra le preferenze della famiglia, le indicazioni del pediatra ed il contesto socio-culturale e tradizionale per aiutare il bambino a sviluppare il proprio gusto e le scelte alimentari personali nell’ottica di una alimentazione corretta. Ciò premesso, vari sono gli alimenti che possono essere offerti al bambino come primo cibo solido mettendo da parte il criterio della progressiva introduzione degli alimenti secondo il grado di allergenicità.

Questo paragrafo se da una parte dice bene, dall’altra è anche un’occasione persa in quanto quando dicono, “Va favorita l’interazione tra le preferenze della famiglia, le indicazioni del pediatra ed il contesto socio-culturale e tradizionale per aiutare il bambino a sviluppare il proprio gusto” avrebbero potuto cercare di definire quali dovrebbero essere le “indicazioni del pediatra” in materia di alimentazione complementare (non riesco a usare la parola “divezzamento”). Considerando che oggigiorno sono ancora molto diffusi la “ricettina” e lo “schemino”, sarebbe stato opportuno spiegare come i genitori possano effettivamente essere in controllo dell’alimentazione del proprio figlio senza bisogno di istruzioni e intrusioni esterne.

I cibi vanno offerti con il cucchiaino, senza forzare il bambino, consentendogli eventualmente di toccare cibo nel piatto e mangiare con le mani. Non si deve insistere se non gradisce qualche alimento ma alternare cibi diversi per colore, sapore e consistenza.Il cibo inizialmente non accettato va però riproposto con pazienza in giornate successive, eventualmente preparato in modo diverso.

Ecco un altro comando: “I cibi vanno offerti con il cucchiaino“. Forse intendono che non va utilizzato il biberon, ma se il bambino vuole fare da solo? E se si prende in mano un pezzo del nostro cibo? Ecco come con una parola usata un po’ alla leggera si escludono in un colpo solo tutta una serie di casi.

E’ importante che il bambino mangi seduto con la schiena eretta (preferibilmente nel seggiolone) per evitare il rischio di soffocamento e per permettergli di partecipare attivamente al pasto, toccando e anche pasticciando con il cibo.

Decidiamoci… Al bambino “consentiamo eventualmente di toccare il cibo” o gli permettiamo di “partecipare attivamente al pasto toccando e anche pasticciando con il cibo”? L’enfasi in queste due frasi è molto diversa.

Oltre al latte, durante il divezzamento il bambino deve bere acqua evitando bevande con zuccheri aggiunti che sono un fattore predisponente per lo sviluppo di carie ed obesità.

Ed ecco un altro “deve”.

Il latte vaccino non è raccomandato nel primo anno di vita per il rischio di sbilanciare l’apporto proteico alimentare complessivo e, inoltre, perché può causare carenze di ferro.

Entro i 9-12 mesi il bambino dovrebbe aver provato un’ampia varietà di cibi e di sapori, abituandosi progressivamente a consumare oltre al latte, altri due pasti principali (pranzo e cena) e uno-due spuntini. Le porzioni vanno adeguate per l’età del bambino ed in queste indicazioni il pediatra curante può essere di valido supporto.

Le porzioni vanno adeguate per l’età del bambino ed in queste indicazioni il pediatra curante può essere di valido supporto“. Indiscutibilmente il pediatra può essere di valido supporto, ma per cosa? Il pediatra, che vede il bambino per 10 minuti ogni 1-2 mesi, può sapere quanta fame ha? Qui invece si rafforza l’idea che il pediatra sappia quanto il mio bambino debba mangiare. Al massimo saprà quanto mangiano in media i bambini di quell’età e peso, ma dubito che possa sapere di quanto il singolo abbia bisogno. Di nuovo, non si fa nulla per modificare le condizioni “socio-culturali” che continuano ad essere menzionate.

4. I bambini a rischio di allergie/intolleranze vanno divezzati diversamente?

Come già accennato nel paragrafo precedente,le più recenti e autorevoli evidenze sperimentali non convalidano sul piano scientifico la tesi secondo cui i bambini a rischio di sviluppare celiachia o un’allergia alimentare dovrebbero seguire uno schema di divezzamento diverso dalla popolazione generale.

Gli studi più recentihanno infatti dimostrato che l’introduzione tardiva degli alimenti ritenuti “allergizzanti” non previene lo sviluppo di allergia alimentare e/o celiachia nei soggetti predisposti e che l’età del bambino alla prima esposizione versol’alimento (purché avvenga dopo i quatto mesi di vita) non ne modifica il successivo rischio globale a 10 anni di età.

5. Dopo l’anno di vita cosa può mangiare il bambino?

Compiuto l’anno di vita il bambino può mangiare molti dei cibi destinati ai componenti del nucleo familiare se si presentano, o comunque gli vengono offerti, in forma e consistenza facili da masticare e da deglutire e preparati senza sale e zucchero. Tuttavia, il bambino dopo i 12 mesi non può essere considerato un piccolo adulto ma ha esigenze nutrizionali specifiche che il pediatra condividerà con i genitori.

Solo dopo l’anno di vita, ove non sia ancora in corso l’allattamento materno, può essere introdotto il latte vaccino intero come componente lattea della dieta, che comunque non dovrebbe essere assunto in quantità superiori ai 200-400 ml/die, per evitare un eccessiva assunzione di proteine.

L’apporto energetico complessivo, tra 1 e 3 anni, deve essere adeguatamente ripartito tra i diversi macro-nutrienti.Secondo le recenti indicazioni dei “Livelli di Assunzione di Riferimento ed Energia per la popolazione” (LARN)-IV revisione 2014, tale apporto dovrebbe derivare per il 50% dai carboidrati, per il 40% dai grassi e solo per circa il 10% dalle proteine.

Riguardo ai cibi che apportano carboidrati, è opportuno moderare il consumo di alimenti e bevande con zuccheri aggiunti. Per quanto riguarda i grassi, 2-3 porzioni di pesce grasso (pesce azzurro, trota, salmone) alla settimana consentono di raggiungere le assunzioni raccomandate (EFSA) di grassi n-3 a lunga catena (250 mg giornalieri, di cui almeno 100 di DHA).

Abbiamo detto che questo documento è in formato di domande e risposte perché indirizzato a tutte le famiglie, ma allora perché mi inondano di dati tutti assieme? A che pro dirmi che un bambino deve assumere il “50% dai carboidrati, per il 40% dai grassi e solo per circa il 10% dalle proteine“? Perché tale linguaggio? Come fa un genitore normale ad assicurarsi che il bambino ingerisca tali quantità? Anzi, un genitore che uso può fare di questa informazione? Chiaramente la sua alimentazione non può essere un buon punto di partenza, che è quello che dice implicitamente questo passaggio, per cui dovrà trovare altre fonti di pasti “bilanciati”. Dove troviamo questi “pasti bilanciati”? Al supermercato nel reparto baby food. Dopo tutto come altro puoi assicurare che l’alimentazione di tuo figlio sia composta per il “50% dai carboidrati, per il 40% dai grassi e solo per circa il 10% dalle proteine“?

Come se ciò non bastasse, la frase finale ha del comico: “Per quanto riguarda i grassi, 2-3 porzioni di pesce grasso (pesce azzurro, trota, salmone) alla settimana consentono di raggiungere le assunzioni raccomandate (EFSA) di grassi n-3 a lunga catena (250 mg giornalieri, di cui almeno 100 di DHA).” Qui siamo all’apoteosi della supercazzola. Questo è un documento per tutti, e di cosa mi parli? di “grassi n-3 a lunga catena (250 mg giornalieri, di cui almeno 100 di DHA)”.  Tipica conversazione al bar:
“Quanti DHA hai assunto oggi?”,
“Ah, sono proprio contento, oggi ne ho presi davvero tanti”.
Gli UNICI alimenti diversi dal latte che vengono nominati sono “pesce azzurro, trota e salmone” come se fossero gli unici indispensabili per una crescita corretta e per una “corretta alimentazione”. Sembra che l’UNICA cosa di cui preoccuparsi sia di mangiare 2-3 porzioni di questi pesci così da assumere la nostra quota di DHA. Chiaramente l’alimentazione si riduce a questo: 200-400 ml di latte vaccino e pesce azzurro…

6) Quale è la normativa sugli alimenti destinati ai lattanti e ai bambini nella prima infanzia?

La legislazione europea riserva un campo normativo specifico per alimenti espressamente destinati ai lattanti (0-12 mesi) e ai bambini nella prima infanzia (1-3 anni), con specifiche disposizioni sia sui requisiti di composizione a tutela dell’adeguatezza nutrizionale, sia sulle garanzie da fornire in termini di sicurezza alimentare.

Ribadendo la superiorità dell’allattamento materno come modalità di alimentazione per il lattante, in quei casi dove tale pratica non sia possibile, le “formule per lattanti”sono gli unici prodotti che possono essere utilizzati come sostituti del latte materno, su consiglio del pediatra.

Infatti le “formule per lattanti”, per la loro specifica composizione, sono in grado di soddisfare da sole il fabbisogno nutritivo del lattanti nei primi mesi di vita fino all’introduzione di un’adeguata alimentazione complementare.

Fermo restando quanto detto ai punti 3 e 5 sull’alimentazione mista del lattante e del bambino dopo l’anno, prodotti espressamente destinati ai lattanti e ai bambini nella prima infanzia ai fini del divezzamento e della progressiva diversificazione dell’alimentazione, secondo la legislazione europea, sono i seguenti:

– le formule di proseguimento, per l’uso nel lattante dai sei mesi di vita come componente lattea dell’alimentazione diversificata in assenza del latte materno;

– gli alimenti a base di cereali e i baby food: i primi sono prodotti come farine lattee, pastine e biscotti; tra i secondi rientrano prodotti con carne, pesce, formaggio, frutta e verdura e tipo dessert.

Qui neanche ci perdo tempo. All’inizio di questo paragrafo andava messo un “consigli per gli acquisti” , almeno così uno lo capiva meglio.
Tra l’altro, mi chiedo, al Tavolo di Lavoro nessuno ha fatto presente che le formule di proseguimento sono considerate inutili da tutti, al di fuori dei produttori? Perché hanno sentito il bisogno di menzionarle?

Infine, per l’uso come componente lattea della dieta sono disponibili i cosiddetti “latti di crescita”, proposti per bambini da 1 a 3 anni. Ad oggi non hanno delle prescrizioni specifiche a livello europeo per la composizione che comunque prende a modello quella delle formule di proseguimento, contenendo così, tra l’altro, acidi grassi essenziali, acidi grassi polinsaturi a lunga catena (DHA), ferro, iodio e vitamina D.

Mi correggo… Poco sopra ho detto che avevamo raggiunto l'”apoteosi della supercazzola”, quando invece si raggiunge chiaramente qui.

Che i latti di crescita non servano, di nuovo, lo dicono tutti e questo passaggio di nuovo va interpretato semplicemente come un altro “consiglio per gli acquisti”. Il fatto che abbiano inserito frasi quali “acidi grassi essenziali, acidi grassi polinsaturi a lunga catena (DHA), ferro, iodio e vitamina D” (che anche se vere sono pur sempre supercazzole) dimostra come il Tavolo di Lavoro non sia esente da pressioni esterne che non devono trovare spazio all’interno di strutture finanziate dai contribuenti, come il Ministero, che dovrebbero assistere la popolazione solo ed esclusivamente con informazioni IMPARZIALI.

Roma, 18/07/2016

Quindi dalla conclusione dei lavori alla pubblicazione di questo documento sono passati altri 4 mesi circa. Mi chiedo: ma si sono presi la briga di rileggere il documento e almeno di cercare di eliminarne le imprecisioni e curarne l’ortografia? Direi di no.

Domande per il ministero

  1. Quanto è costato produrre questo documento?
  2. Qualcuno all’interno del Ministero si è chiesto o ha chiesto ai partecipanti al Tavolo di Lavoro di dichiarare interessi passati o presenti che potrebbero presentare un conflitto con i lavori del Tavolo stesso?
  3. Dopo un anno di lavoro è stato prodotto un documento di qualità oggettivamente molto scarsa. Possibile che al Ministero nessuno lo abbia fatto notare e non abbia richiesto che si producesse qualcosa di qualitativamente migliore?
  4. Qualcuno, al di fuori del Tavolo, ha letto e commentato il documento prima di pubblicarlo?
  5. Possibile che il Ministero creda davvero che 5 paginette e meno di 2000 parole siano sufficienti a coprire un argomento vasto e complesso come quello di una “corretta alimentazione”?

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7 risposte

  1. Al punto 6 di cosa stanno parlando? Lattanti sotto l’anno di vita o oltre i 12 mesi? Perché, “fermo restando il punto 5”, i biscotti e i dessert, nonchè (o forse sarebbe più coerente nonche’) gli omogeneizzati di frutta, di zuccheri ne contengono in abbondanza… Supponendo di eliminare dalla lista i baby food che contengono zuccheri, per i lattanti al di sotto dell’anno, diventa difficile “fermo restare” al punto 3 ed “alternate cibi diversi per colore, sapore e consistenza”.

  2. Dopo la campagna per il Fertility Day ad opera del Ministro della Salute (o chi per lei) apparsa nei giorni scorsi, che ha davvero del ridicolo, costato migliaia di euro e bannato in meno di 48 ore, non mi scandalizzo più di niente. Scusa l’OT…
    Tanto lavoro (nemmeno troppo, forse) buttato al vento, occasioni sprecate in nome della superficialità e dei luoghi comuni (o degli interessi di chi non ha a cuore il problema).
    Non so quanto sia costato produrre questo documento, ma visti i numerosi (forse troppi?) nomi, credo non poco e visto il risultato, sicuramente troppo!
    Al punto 4 poteva limitarsi a parlare delle allergie senza scomodare la celiachia che è un argomento a parte che andrebbe trattato nello specifico senza dare consigli inopportuni “…l’introduzione tardiva degli alimenti ritenuti “allergizzanti” non previene lo sviluppo di allergia alimentare e/o celiachia nei soggetti predisposti…”. Forse avrebbe potuto approfondire l’argomento (non in meno di 2000 parole però) e scoprire che la situazione è più delicata e dipende da caso a caso.
    Infatti AIC scrive:
    “…Introdurre il glutine a 12 piuttosto che a 6 mesi, come avviene di norma, non modifica il rischio globale pur ritardando la comparsa di celiachia; ma potrebbe ridurre il rischio di sviluppare questa condizione nei bambini ad alto rischio genetico (bambine omozigote per il DQ2).”
    Non vorrei essere perfida, ma ho come l’impressione che il punto 5 sia stato scritto appositamente in modo molto “medico” e poco comprensibile per indirizzare le scelte verso un più “calibrato” e “raccomandato” baby food del punto 6.
    A proposito di punto 6: ma quale genitore in cerca di consigli sull’alimentazione farebbe mai una domanda del genere se non per aver l’occasione di specificare che i baby food sono appositamente studiati per i bambini (e forse il resto del cibo no)?
    Secondo me si poteva scrivere un valido vademecum in 2000 parole, bastava usare quelle giuste!

  3. Questo documento è ridicolo. grazie per aver trovato il tempo di condividerlo. Mi hanno colpito diverse cose. Prima di tutto il linguaggio. Dicono di aver usato il formato faq per essere più chiari e accessibili a tutti ma credo che sia un modo solo per coprire un documento scritto in fretta e con superficialità. Non solo l’uso di termini tecnici non è stato evitato senza farlo seguire da eventuali note, approfondimenti o al limite un glossario, ma trovo veramente insopportabile l’uso, ad esempio, della parola “timing” come fosse un termine di uso corrente mentre è solo un brutto inglesismo per chi non sa più esprimersi correttamente in italiano. E questo per quanto riguarda la forma. Se si va alla sostanza, siamo lontani anni luce dai contenuti che ci si aspetterebbe di trovare in un simile documento e non solo per le imprecisioni che hai sottolineato. Basta digitare il titolo su Google e siamo in grado di trovare informazioni ben più complete sull’argomento. Se fossi nei panni degli autori mi guarderei bene dal vantarmene. È lacunoso, non dice nulla e non aiuta né offre informazioni in più di quanto comunemente divulgato sul tema. Si, l’impressione è proprio quella di un copia incolla fatto pure male. La parte finale è veramente illeggibile ma anche sul punto 3 si è persa una grande occasione per chiarire molti aspetti importanti e molte domande che le mamme si pongono…e meno male che dovevano essere Faq..

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