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Mangiare sano per dovere: perché è sbagliato insegnare che un cibo fa bene e uno fa male (ai bambini piccoli)

I bambini piccoli, ma non solo, sono una cosa buffa in quanto ragionano in modo diverso dagli adulti, ma noi spesso ce lo dimentichiamo. Ecco quindi il genitore che, con tutte le buone intenzioni di questo mondo, insegna al suo 2-3-4-enne che le caramelle fanno male, che le patate fritte le può mangiare solo la mamma perché… fanno male, e che invece le verdure fanno bene, che se vuole crescere grande e forte deve mangiare gli spinaci, ecc. Insomma, i genitori vogliono educare i bambini a mangiare sano (anche se i genitori per primi predicano bene, ma razzolano male…)

Il problema è che questo approccio non sempre funziona, anzi… funziona meno di quanto pensiamo, perché il messaggio che arriva al bambino è diverso da quello che intendiamo noi.

Tempo fa ho fatto una chiacchierata su FaceBook con Adina di Happy Little Eaters e questo è quello che mi ha detto. Credo lo troverete interessante. I miei commenti e considerazioni sono nei riquadri.

Educare i bambini a mangiare sano

educare i bambini a mangiare sano
…ma più spesso ecco come reagiscono davanti alle nostre indicazioni di “cibi sani”

Categorizzare gli alimenti in “sani” e “non sani”  è molto spesso una questione di opinione personale e in tutti i casi esprime un giudizio.
I bambini sotto i 7 anni, ma anche più grandicelli, hanno uno scarse capacità di ragionamento deduttivo e pensano ancora in termini di “bianco e nero” senza spazio per sfumature ed eccezioni. Per questo motivo non dovrebbero prendere il posto del genitore nello scegliere cosa va bene e cosa non va bene mangiare.

Adina intende dire che spesso responsabilizzando troppo o in modo erroneo il bambino, si possono scaturire nel bambino sensi di colpa del genere: vorrei una caramella, ma so che fa male; la mangio e mi sento in colpa. Anche un adulto può fare un ragionamento del genere, ma il bambino non riesce a razionalizzare l’idea di “strappo” o di “eccezione”.

Questo l’ho visto qui a casa con la grande che in un paio di occasioni mi ha detto che un determinato cibo, mi pare fossero caramelle, non va mangiato perché “fa male”. Credo che l’informazione fosse venuta da scuola, e andrebbe benissimo se non fosse che non le hanno spiegato come utilizzarla al meglio. Cosa fa male, una caramella o 10 caramelle? Fa male sempre o ogni tanto va bene? Discorsi simili mi sono capitati più di una volta, con tanto di ramanzina perché io mangiavo qualcosa che le era stato detto non fosse adatta. L’interpretazione del messaggio da parte della bimba in termini di bianco/nero e senza sfumature era evidente. Le caramelle semplicemente facevano male (ma poi se l’è scordato…).

Qualcosa di simile è successa anche nella sfera del comportamento: chi di noi non è stato rimbrottato dai propri bambini perché noi facciamo qualcosa che abbiamo detto loro di non fare? Noi giustifichiamo il nostro comportamento fornendo varie ragioni più o meno valide, mentre il bambino, ragionando in bianco e nero, non afferra queste sottigliezze.

Una migliore educazione alimentare non si concentra sul giudizio che questo fa male e quello fa bene, ma si attiene semplicemente ai fatti. Ad esempio:

– Vediamo se riusciamo a trovare tutti i tipi di frutta e verdura
– Vediamo se sappiamo elencare dei cibi rossi
– Quali alimenti sono croccanti e quali morbidi?
– Quali cibi contengono semi?
– Sai riconoscere un cereale? Quanti tipi ne conosci?
– Quale cibo è di origine animale e quale vegetale?

Categorizzare gli alimenti in questo modo è un processo educativo che non richiede che il bambino provi imbarazzo/vergogna se vuole mangiare una determinata cosa che a lui piace, ma che noi riteniamo inadatta, o imporre quello che dovrebbero o non dovrebbero mangiare. I bambini sono curiosi per natura e ricaveranno molto di più sperimentando che da lezioni sul cibo sano/non sano che non possono comprendere appieno.

La ricerca mostra che i bambini a cui verrà fatto notare che un cibo fa bene e magari verranno forzati a mangiarlo, lo apprezzeranno di meno. Un messaggio quale “Mangia che ti fa bene” è un messaggio meno efficace di quello che riceverebbero se lo stesso piatto venisse servito e gustato a tavola da tutta la famiglia regolarmente. L’obiettivo è che i bambini mangino cibi “sani” perché gli piacciono e non per “dovere”. Dopo tutto il “dovere” non te lo porti appresso quando non ci sono più i genitori a dirti cosa mangiare e cosa non mangiare.

Qui vi rimando sull’articolo dove si parlava del perché non serve insistere affinché il bambino mangi le verdure, e dal quale cito:

Mangiare cibi sani non può essere l’obiettivo del nostro essere genitori. Invece è solo una possibile conseguenza che deriva dall’aver utilizzato le corrette strategie alimentari con il bambino.

Questa frase ce la dovremmo stampare tutti a lettere cubitali e appenderla vicino al tavolo da pranzo.

Inoltre bisogna evitare di presentare cibo che percepiamo come “non sano” sempre in dosi minime creando così un senso di “carestia” costante.  Un importante fattore di crescita è poter dire “basta” perché soddisfatti e appagati. Per questo motivo a volte per merenda metto a disposizione un dolce, o altro, in quantità illimitata: un piatto di biscotti invece di solo uno o due; un piatto di muffin invece di uno solo; una torta intera invece di solo una fetta. Potersi fermare sulla base del nostro senso di autoregolazione è un’ottima opportunità di apprendimento, e il bambino comprende che abbiamo fiducia nella sue capacità di gestire situazioni in cui vi è abbondanza di cibo senza aspettarci che necessariamente si riempa all’inverosimile ogni volta.

Posso dire in prima persona che almeno a casa nostra questo è vero. Generalmente c’è sempre disponibilità illimitata di cibo, ma quando è troppo… è troppo. Anche se manca solo un boccone a pulire il piatto, le mie bimbe quando sono sazie si fermano. Questo non è vero per i genitori…
Questo non va certamente visto con un invito a sprecare il cibo, ma al massimo a fare piatti più piccoli, lasciando il resto nella pentola in caso qualcuno si voglia servire di nuovo.

Cini sani informazione bambini
Così è come ci piacerebbe che i nostri figli reagissero ai cibi “sani”… (paragona questa con l’altra foto in basso)

Ai bambini non piace mangiare cibo che percepiscono come “medicina” e tutti noi, sia piccoli che grandi, vogliamo mangiare cose che sono riteniamo buone. Non è certamente inconsueto che bambini di 1-4+ anni vedano negativamente le verdure, perché molte richiedono l’acquisizione di un gusto che ancora non hanno sviluppato e che consente di apprezzarle.

Nonostante ciò i genitori tendono a insistere affinché le mangino perché “fanno bene” invece di lasciare che i loro figli seguano le loro inclinazioni.

I bambini durante la crescita istintivamente chiederanno proporzionalmente una quantità maggiore di calorie e questo di solito li porta a preferire cibi ricchi di amidi, grassi, ecc. È chiaro che ci saranno bambini a cui le verdure piacciono, ma in generale preferiranno cibi a contenuto calorico maggiore come i dolci.

Premesso tutto ciò, nel tempo anche loro impareranno ad apprezzarle, ma quello che serve è una strategia a lungo termine: i bambini hanno bisogno di vedere cibi quali le verdure sulla tavola e vedere che gli altri membri della famiglia le mangiano con gusto SENZA alcuna pressione, incoraggiamento o promessa. I bambini vanno esposti costantemente a questo tipo di cibi durante i pasti in famiglia, ma sempre con un’attitudine positiva. 

Sono i genitori a dover cambiare prospettiva e smettere di mettere i bambini sotto pressione affinché mangino le verdure (o in generale cibi “sani”) mantenendo il momento del pasto sereno e non fonte di battaglie e minacce.

Su questo argomento vi rimando all’articolo sul “Worry Cycle”, ovvero la “spirale ansiogena”, dove si parla di quanto sia controproducente per tutti forzare il bambino che non desidera mangiare.
Da notare anche come dire frasi quali “sono fortunato perché a mio figlio piacciono le verdure” è potenzialmente pericoloso, perché con tutta probabilità verrà il tempo in cui il bambino le verdure non le vorrà più. In questo caso cosa farà il genitore? Se prima pensava di essere fortunato, ora si riterrà sfortunato e con tutta probabilità proverà a porvi rimedio, magari peggiorando la situazione. Invece tutto quello che deve fare è esattamente quello che ha fatto finora, ovvero… niente, se non mangiare con gusto il suo bel piatto di verdure.

A questo proposito ci sono due interessanti articoli: nel primo è stato studiato il comportamento di un gruppo di bambini tra gli 8 e gli 11 anni che sono stati esposti a una serie di cibi che non conoscevano. Nell’articolo è stato mostrato che statisticamente i bimbi che hanno assaggiato di loro spontanea volontà determinati cibi hanno valutato più positivamente l’esperienza di quelli che pur non volendo assaggiare, lo hanno fatto comunque.

Questi ultimi, ovvero i bambini che hanno assaggiato anche se non volevano, hanno valutato l’esperienza in modo simile a quelli che hanno indicato se pensavano che quel cibo gli sarebbe piaciuto o meno, ma senza assaggiarlo. In altre parole, se ti dico a priori che non mi piace, molto probabilmente non mi piacerà neanche a posteriori, per cui è inutile insistere affinché provi qualcosa che non voglio.

Anche questo lo vedo alla nostra tavola. Quando c’è qualcosa che le mie figlie non vogliono, se insisto perché lo provino il feedback che ottengo è quasi sempre negativo. Se invece le lascio fare è possibile che provino quel cibo di loro spontanea volontà e lo mangino.

Ci sono sicuramente casi in cui la tecnica del “prova prima di dire che non ti piace” funziona, ma non bisogna dare per scontato che sia così. In alcuni bambini può andare bene, ma in altri può causare reazioni oppositive più o meno forti e generare istantaneamente antipatia per quel cibo (se ne è parlato nell’articolo già linkato precedentemente sulla spirale ansiogena)

Inoltre bisogna chiedersi, se quelli che insistono che il bambino prenda almeno un boccone smettessero di farlo, come si comporterebbe il bambino dopo un comprensibile periodo di “smarrimento”? A dare retta a questo studio l’invito almeno a provare un alimento prima di dire no è irrilevante se non addirittura controproducente, per cui forse il bambino mangerebbe di più.

Nel secondo studio si conclude che pratiche di alimentazione bambino-centriche sono correlate a un aumento di assunzione di frutta e verdura, mentre pratiche adulto-centriche hanno l’effetto opposto.
Per aumentare il consumo di frutta e verdura nei bambini, i genitori per primi dovrebbero migliorare la loro dieta e utilizzare strategie bambino-centriche per diminuire le reazioni negative al cibo nei bambini.

In altre parole bisogna lasciare al bambino la possibilità di scegliere se/quanto mangiare senza imporre regole dall’alto. Qualcuno ha mai sentito parlare di autosvezzamento, ovvero di alimentazione complementare A RICHIESTA? 🙂

Sono d’accordo che forse non ci vuole uno studio scientifico per dire certe cose, ma vedere alcuni concetti, per quanto ovvi, nero su bianco aiuta quanto meno a riflettere e a rivalutare i nostri comportamenti.

Quindi in conclusione cosa fare?
1. Non categorizzare i cibi in “sani” e ” non sani” e mai far sentire in colpa un bambino se desidera qualcosa di “non sano”
2. Insegnare che esistono diversi tipi  di cibi e incoraggiare a riconoscerli
3. Occasionalmente consentire al bambino di mangiare quantità illimitate di “cibi sani” E “non sani” fino a raggiunta sazietà.
4. Dare il buon esempio.

Voi come vi comportate? Chiedete che i vostri figli assaggino almeno un boccone? Se sì, perché lo fate?
Raccontateci le vostre esperienze.

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38 risposte

  1. Mi sa che diciamo le stesse cose, ma con parole diverse… Quello della coca cola è un “problema” se vuoi del genitore in quanto lui beve la coca cola (a me personalmente a fatto sempre schifo) e il figlio lo imita Dire di no alla coca cola non è una buona idea. Secondo me lo sbaglio è stato quello di allungarla all’inizio. Vedrai che pura gli avrebbe fatto schifo 😀
    MA quello su cui sono in disaccordo è il dire “questa è la tua porzione e basta”. Ti porto un esempio: mia figlia grande (ma anche la piccola) a volte mangia un piatto di pasta, a volte tre (nel senso letterale di tre volte tanto). Perché dovrei dirle che “no, basta non ne puoi mangiare più” se nel piatto di portata ce n’è? (di solito ne facciamo di più perché così ci facciamo un pranzo il giorno dopo). Non so cos’abbia mangiato a pranzo o se abbia fatto molto moto. Però ha fame… perché non dovrei assecondarla? Io non lo so qual è la porzione giusta per OGGI (né per domani… so solo quella media). Però vedo anche che se non le va più… si ferma, ovvero gestisce benissimo quello che è l’istinto della fame e una volta che è stato placato, non mangia altro.
    Ieri siamo andati a casa di amici e c’erano diversi bambini uno dei quali ha chiesto un’altra fetta di torta (che era stata servita a pranzo un paio di ore prima). L’ha presa, ne ha mangiato circa metà e il resto l’ha lasciato alla madre e se n’è andato tutto contento. La madre doveva dire di no perché la sua porzione era finita?
    Per me non è una questione di “no”, ma di gestione del controllo. Per me, per essere efficace nel campo del cibo il controllo deve essere minimo e fatto a monte (tipo: oggi a cena c’è questo che c’è a tavola e non altro), non a valle (questo c’è ed è a tavola, ma te ne do solo un tot).
    No dimentichiamo poi che anche nel post si fa l’esempio di merende pre-porzionate come norma, ma ogni tanto proposte senza limiti.

  2. Io non educo dicendogli questo è meglio di quello, ne premio o punisco con dolce o senza dolce, stai dando per assunto cose che non sai. L’alimentazione è una questione delicata, io cerco di farla passare a mio figlio come una cosa normale, ne speciale ne spiacevole.
    Mi insegnerò anche a mio figlio ad accettare i no. Autosvezzamento e autoregolazione non sono una scusa per evitare qualsiasi educazione, prima o poi il bambino capirà che i biscotti sono finiti nel piatto ma c’è la confezione nell’armadietto e li vorrà.
    Tu mi stai fraintendendo, io non sono contraria all’auto svezzamento, ma mi sembra che abbia delle falle e che sia troppo facile per i genitori usarla come scusa ogni volta che non vogliono adempiere al loro ruolo educativo. Insegnare ai bambini ad accettare e gestire un rifiuto li renderà anche adulti capaci a farlo. Anziché ritrovarti in casa un adolescente a cui non sei mai riuscito a dire di no quando era piccolo e che viene preso da rabbia e violenza alla prima frustrazione o peggio da depressione.
    Rimane il fatto che il bambino non sa cosa sia meglio per lui, “dovrebbe” saperlo il genitore e trovare il giusto modo per insegnarlo e applicarlo.
    Nella vita di mio figlio non ci saranno frutti proibiti, ma semplicemente la sua porzione di quegli alimenti che anche gli adulti dovrebbero limitare.
    Dico tutto questo non perché sia un mio problema, in casa non ho cocscola, nutella, caramelle, merendine eccetera, perché non ne mangiamo, ma tante altre famiglie le hanno e credo sia giusto che ne abbiano, se le vogliono, ma devono anche trovare il modo giusto di insegnare ai figli a regolarsi e secondo me il metodo giusto non è non farle vedere al bambino, ma dare dei limiti.
    Esempio cocacola: mio nipote 4 anni. In casa hanno sempre la cocacola perché a mio fratello piace. Al bambino la danno da che aveva…boh..un anno? Piena di zuccheri e caffeina, ma almeno la davano allungata con acqua e temperatura ambiente.Mia madre pensava facesse schifo e gliela dava fredda di frigo e pura.
    La cocacola è sempre disponibile in frigo.
    Il bambino la vuole a ogni pasto e anche quando ne ha semplice voglia.
    Per me bisogna dirgli questa è la tua porzione, poi basta.
    Senza cerimonie e senza cedere e chiaramente senza usarla come premio o punizione

  3. No, mi spiace ma non sono d’accordo. Prendi le patate fritte… chi lo stabilisce qual è il limite giusto? Se le patate sono finite chiaramente non c’è problema, ma se ce ne sono ancora nel piatto di portata o nel tuo piatto, perché devi dire di no? Il giudizio è molto soggettivo.
    Caffé, vino, ecc. sono non problemi perché anche se li vuole assaggiare gli faranno schifo.
    Tuttavia sul tenere cose a casa che il bambino può vedere, ma non toccare, quello lo trovo diseducativo… perché tu puoi fare una cosa e lui no? E perché aspettare per la nutella i 3 anni? Qual è la giustificazione razionale per il divieto? Chiaramente se non c’è a casa il problema non si pone, ma se dici che tu la compri per te stessa non vedo perché farla diventare oggetto del desiderio. Mi sembra il solito discorso più o meno inconscio per cui ad alcune cose non si può dire no… MAI, e se uno comincia con un cucchiaino di nutella la sua vita ne risulterà segnata per sempre per motivi che… boh… un po’ mi sfuggono.
    Da quanto dici nel tuo post, l’alimentazione è un dovere, non un piacere… ma cosa fai quando non sei più nei paraggi?
    Sui dolci, se si avverte che stanno assumendo troppo potere, c’è tutta una corrente di pensiero che dice che invece di toglierli o limitarli, dovrebbero essere serviti CONTEMPORANEAMENTE al pasto, proprio per assicurarsi che perdano il loro sex appeal. Tu decidi la porzione, ma il messaggio che mandi è che 1) il dolce c’è per cui non c’è bisogno di preoccuparci e 2) il dolce non è poi così importante, di fatti… eccolo qua 3) il cibo non è medicina e il dolce il premio. Se invece cominci con il “mangia prima questo e poi ti do il dolce” ecco che il dolce diventa di nuovo il frutto proibito e per me questo non è l’atteggiamento migliore da tenere. Ad esempio al nostro asilo ci hanno detto fin da subito che se il bambino quando pranza là non vuole mangiare il secondo, serviranno comunque il dolce senza grossi problemi, e questo atteggiamento mi trova pienamente d’accordo.
    Tu dici, io lo educo insegnandogli che questo è più importante di quello. Io invece dico che è meglio dire che non c’è una cosa più importante di un’altra e che sicuramente non ci sono frutti proibiti (ma poi TU sei quella che decide il menu e che fa la spesa).

  4. Io non mangio più carne , mia figlia di 4 anni e mezzo fuori casa la mangia perché dice che le piace…e la lascio fare perché voglio che questa decisione di non mangiarla nasca da lei… E lo vedo che se delle volte le spiego la mia scelta etica lei va in conflitto… Continuerò a darle l’esempio sperando che lo segua

  5. Boh a me questo articolo aembra abbastanza scontato….dice cose che sono piuttosto ovvie…se ad un bambino dici mangia che ti fa bene lui sarà ovviamente meno portato a mangiarlo….e se vieti una cosa per certo la cercherà sempre. Insomma se uno mangia tutto e mangia bene e fa il classico strappo alla regola (non con i biscottini tristi alla’avena una volta all’anno), ma con una torta, un panino alla nutella quello che piace anche a voi mangiare ma non mangiate sennò ingrassate quando gli va….il bambino cresce con un’idea corretta che non ci sono tabù. ..nel cibo come nella vita. E non cercherà sempre di infrangere le regole ma mangerà bene per scelta, non per obbligo.

  6. Io sono perfettamente d’accordo sulla carestia o sul boccone in più, anche sulla questione che il bambino sa quando è sazio. Ma saziarsi con 8 biscotti o la nutella o una torta, non è come saziarsi con del pesce, una fetta di carne, legumi o verdure. Le calorie introdotte sono ben diverse, un bambino sa dire che un altro biscotto non gli entra, ma è il genitore che deve farlo saziare in maniera sana. Per me 8 biscotti per un bambino sono troppi, per esempio, sono tanti anche per un adulto ( poi dipende, ovviamente da altezza e costituzione, in questo caso) e per me è altrettanto sbagliato lasciarlo fare che farglielo fare perché così mangia.
    L’obesità infantile, purtroppo è una cosa reale, i bambini non fanno attività e/o mangiano male. E non è certo colpa loro.
    Ho letto il libro di Paolo Sartì “neonati maleducati” ci sono punti su cui non concordo, ma nel capitolo “le nutelle della vita” esprime il concetto dell’insegnare al bambino a sopportare e superare la frustrazione di ricevere un no. Perciò io esercito il controllo proponendo in tavola, ma non mi astengo dal tenere in casa cose che il bambino non può avere. Biscotti, nutella (ma anche no, prima dei 3 anni o più) torte eccetera in tavola a colazione e merenda, ma se ne vuole a cena o prima di cena, si dovrebbe mettere in atto la giusta tattica, che potrebbe anche portare a pianti e capricci.
    Se quando bevo il caffè lui dimostra interesse, non è una bevanda adatta ad un bambino, idem se bevo vino o birra. Questo è ovvio e dovrebbe essere altrettanto ovvio che il bambino non sa che le patatine fritte gli fanno male e quindi oltre un certo tot deve fermarsi.

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