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Il lato luminoso dei terrible twos

bambini terrible twos

Intorno ai due anni, i bimbi attraversano una fase di opposizione detta “terrible twos” e così definita perché esaminata dal punto di vista degli adulti. Ma siamo sicuri che questa fase sia poi tanto terribile?

Sicuramente chi si trova a gestire un piccolo ribelle sente molta fatica nel farlo, molto sconforto nel doversi confrontare con continui e snervanti “NO!” e tantissima frustrazione nel non riuscire a gestire la situazione né a trovare una soluzione immediata.

Ma i nostri bimbi cosa sentono? Riusciamo a capovolgere lo specchio e a vedere cosa c’è dietro? A guardarli attraverso un prisma per scomporre la luce in raggi colorati?

Capiamo i terrible twos

Io ho provato a farlo. Perché mi colpiva moltissimo l’analogia di comportamento fra il mio cucciolo di appena sedici mesi e un adolescente in piena crisi esistenziale. Stesso rifiuto netto e acritico di qualsiasi “potere” costituito (in questo caso, io!), stessa apertura al mondo esterno e curiosità verso i coetanei, stessa attrazione fatale per tutto ciò che è trasgressione, ovviamente con le dovute proporzioni. E ancora stessa scoperta incantata del proprio corpo, e stesso folle e incontenibile innamoramento verso qualcuno (per il mio bimbo sempre io!) con picchi di morbosità mai toccati in precedenza.

Ho ripensato allora all’adolescenza. A come alcune cose che agli altri sembrano inezie, siano per un diciottenne di vitale importanza; perché da quelle “inezie” si sviluppa tutta la sua interiorità, con conseguente conquista dell’età adulta.

Se lo guardiamo “attraverso un prisma”, un bambino che attraversa i terrible twos sta conquistando nuovi e luminosi traguardi. Sta imparando che può fare da solo: e questo gli provoca al tempo stesso un adrenalinico senso di onnipotenza e un nostalgico desiderio di stare accoccolato e di ricaricarsi fra le braccia della mamma per lunghissimi momenti.

A questa età cominciano, anche se in fase embrionale, i primi rapporti amicali con i propri coetanei: il bambino si rispecchia in loro e prova per la prima volta la sensazione di appartenere a un gruppo e di non essere al centro dell’universo, con sensazioni ancora una volta ambivalenti, al tempo stesso di forza e di smarrimento. Scopre che ciò che sente dentro può essere espresso a gesti e a parole: la comprensione e la padronanza del linguaggio diventano sbalorditive. Impara a gestire la frustrazione: acquisisce un’enorme capacità di concentrazione e di controllo emotivo che lo porta a tentare e ritentare prima di innervosirsi se non raggiunge subito un obiettivo. Parallelamente inizia il controllo sfinterico.

Ma la cosa che mi ha incantato di più, nelle competenze acquisite dal mio “adolescente col pannolino”, è stata la capacità del gioco simbolico. Una vera e propria esplosione! Pupazzi inanimati che prendono vita, trenini che viaggiano verso mete immaginarie; lui che interpreta i ruoli più disparati per imitazione degli adulti o per pura fantasia! L’interesse mai sazio di storie e favole inventate, di libri figurati. L’attrazione per i colori e per la musica. Il “fare finta”, veicolo di mille sogni che prendono forma e che lo catapultano nel mondo degli adulti. E persino l’apprendimento del gioco solitario.

Queste considerazioni mi hanno portato a rovesciare la prospettiva, raggiungendo la conclusione, forse un po’ ovvia ma che la stanchezza a volte ti fa dimenticare, che ogni fase di crisi, compresa quella dei terrible twos, precede il conseguimento di nuove e straordinarie competenze. E che l’adolescenza comincia a due anni!

E ora, quando intuisco che il mio bimbo attraversa uno di questi periodi – perché mi si attacca addosso come un cucciolo di koala – mi chiedo quali nuove abilità starà conquistando, quali nuove emozioni prenderanno forma in lui e, ansiosa, penso a come ancora riuscirà a stupirmi!

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42 risposte

  1. sono venuta a rileggere l’articolo di giulia ora che lilla è entrata in pieno nella fase che odiosamente tutte, dico tutte le persone a me vicine chiamano dei capricci. per fortuna il nostro rapporto è così sereno e nonostante siamo madre e figlia da relativamente poco tempo è solido a sufficienza da farci scivolare addosso le critiche, i commenti e purtroppo anche i “non fare capricci” da parte del suo stesso babbo. 🙁
    come sempre le vostre parole vengono ad abitarmi il cuore e a darmi conforto. grazie.

  2. Giulia, bellissima analogia!
    Con i nostri piccoli “adolescenti”, ci vuole tanta consapevolezza, nel rispecchiare i loro sentimenti. Cerco sempre di dimostrare con le espressioni del mio volto, e con la voce ogni volta che si arrabbia, o che diventa frustrata perché non riesce a fare qualcosa che ci teneva, sono piccoli ma hanno capito che sono in grado di fare tante cose, e che hanno anche ‘voce attiva’; in questa fase stanno imparando a conoscersi, a capire quando si arrabbiano, quando viene la frustrazione e non è semplice gestirla.
    Il paragone che hai fatto è un prisma fantastico, io particolarmente non ci avevo mai pensato esattamente così ma invece cerco di osservare la mia piccola, rispecchiare le sue emozioni e poi quando si sente capita e si calma un attimo, gli dico cosa possiamo fare come seconda opzione o cerco di distrarla con altro. Ma sempre sottolineando prima ciò che turba…non è un lavoro facile, anzi, ma credo sia fondamentale per conoscersi!

    1. Cami la tua sensibilità superiore è davvero il nutrimento migliore per M. Sono sicura che il difficile lavoro che facciamo adesso è tanto di guadagnato per dopo… come dice Cosmicmummy!

  3. Per me, nessuna contraddizione tra Attachment Parenting e i necessari “dolci no”. La parità è emozionale, è una questione di ascolto e di rispetto, ma non significa certo che dobbiamo rinunciare a proteggere il nostro cucciolo dalle cose pericolose, o ad insegnargli le stesse regole che osserviamo noi. Se non ci sono “no”, non c’è parità: e questo vale anche tra adulti (leggere Jesper Juul).

  4. Bellissimo questo post! Una cosa aggiungerei per aiutare noi mamme ad affrontare con maggior consapevolezza i “terribili 2”: ricordatevi care mamme che spesso siete le destinatarie quasi esclusive dei loro “NO” che è proprio il fatto che vi amano alla follia e sanno di essere SEMPRE e COMUNQUE amati da voi che vi fa scegliere come bersaglio. Lui (o lei) sa che se anche vi farà arrabbiare voi gli vorrete bene lo stesso e proprio perchè vi ama tanto e sente di essere legato/a a voi sente questa spinta a separarsi che si traduce nella volontà di opposizione e di imposizione della sua volontà. Ne ha bisogno, per crescere.

  5. Per ora Giulia, mi limito a complimentarmi con la tua capacità di guardare il mondo ‘bambino’ con gli occhi di un bambino e il buon senso di un adulto. Ancora una volta ne hai dato ampia prova!

    Essere ’empatici’ aiuta molto a capirli, l’ho provato io stessa e mi trovo completamente d’accordo con le tue osservazioni tanto coerenti con le mie.

    Per le amiche che hanno parlato di ‘limiti da stabilire’ in querta fase di forte ‘imprinting’, vorrei invitarle ad applicare lo stesso sistema empatico di Giulia a valutare la questione da un diverso punto di vista.

    Già di per sé, come lei ha osservato, il bambino si muove fra questi 2 estremi: la scoperta dell’autonomia e il bisogno di rassicurazione.
    Già naturalmente li induce a ‘autolimitare’ la prima con un tenero bisogno di conferme da parte degli adulti (madre e persone che si prendono cura di loro in primis).
    Non si tratta di ‘dargliela vinta’ o no, si tratta solo di rispondere adeguatamente ai loro istintivi bisogni. Attraverso l’imitazione che funge da motivazione sono inclinati ad apprendere spontaneamente le nostre regole del vivere civile. Non serve imporle o cercare di ‘stamparle’ arbitrariamente nelle loro menti. Il limite, se noi siamo lì ad appagare queste loro esigenze, lo individuano da soli. Non ne hanno ‘bisogno’, lo sperimentano direttamente e con noi accanto imparano a gestirne la frustrazione che ne deriva.
    La chiave, secondo me, è essere presenti e lasciarli sperimentare serenamente sia l’autonomia che il bisogno di noi, senza ulteriori limitazioni.
    A questo proposito trovo illuminante la lettura di Gonzales e il suo ‘Besame Mucho’ oltre alla rilettura di questo fatto data da Piermarini in ‘Io Mi Svezzo Da Solo’ per cui se un bambino sperimenta fin da subito senza incoerenze né dubbi da parte dei genitori che loro ci sono sempre, ogni volta che lo chiede, che può essere abbracciato, allattato a richiesta, coccolato e tenuto in braccio, si costruisce un'”immagine del mondo” più positiva al punto che poi gli diventerà tanto familiare da non sviluppare verso di esso una sensazione di paura e insicurezze indotte. E se qualcosa occasionalmente metterà in pericolo questo equilibrio, saprà che la madre sarà lì a rassicurarli senza paura di ‘viziare’ perché consapevole dell’assurdità di questo concetto.
    E l’autonomia gli farà meno paura da una parte e dall’altra l’esperienza dell’affetto A Richieta e ‘gratis’ gli renderà più dolci gli inevitabili ‘no’ che la sicurezza e le esigenze del buon senso civile comportano.
    E l'”educazione” non diventa più una ‘lotta’ fra noi e lui ma un’esperienza di crescita per entrambe le parti.
    Anche su questo: provare per credere!

    1. Forse mi sono espressa maldestramente, non mi riferivo a regole da imporre arbitrariamente, ma di limiti da stabilire, che sono, appunto, quelli della sicurezza e del vivere civile.
      Insomma, i dolci “no” di cui tu parli, Linda. E che a volte sono difficili da dire, specialmente nel contesto dell’Attachment Parenting, che è quello di un rapporto piuttosto “paritario” con i propri figli.
      L’empatia non deve impedirci di essere , comunque, i “decisori”. Nel mio caso, imparare a dire “no” è stata una conquista importante!

      1. Posso confermarti che il tuo secondo commento mi aveva già chiarito che probabilmente eravamo più vicine di quanto pensassi. 🙂

    2. Grazie Linda. Condivido quello che scirvi su limiti. Anche secondo me i bimbi assorbono ciò che abbiamo dentro e ciò che manifestiamo con il linguaggio del vivere quotidiano. Prima di imparare a parlare, tutti noi comunichiamo per vie sottili e quando abbiamo a che fare con un bimbo non dovremmo mai dimenticarlo. Perchè loro, in questo modo di comunicare, sono maestri.

  6. A questo interessante post aggiungerei che i due anni sono anche il momento giusto per introdurre le abitudini che il bambino si porterà dietro.
    Se non si stabiliscono dei limiti chiari durante questa finestra critica, che va circa dai 20 ai 30 mesi, diventa molto piu’ difficile farlo in seguito. Questo l’ho sperimentato personalmente, con la mia prima bambina.
    E’ una età di forte imprinting. Non solo ascolto attivo ed empatia, percio’, ma anche limiti, amministrati con tanta fermezza e tanta coerenza . Due doti che a 23 anni, quando è nata la mia prima figlia, non possedevo, ma che ho dovuto per forza , negli anni, sviluppare un po’.
    I figli ci fanno crescere, sotto tutti i profili.
    Anche io a volte tremo un po’ al pensiero dell’adolescenza. Ma sono fiduciosa che,incentrando i nostri insegnamenti sull’amore e sul rispetto, nonostante i futuri terremoti le fondamenta resteranno salde.

      1. Grazie per la domanda! Il perchè non lo so, questa è stata la mia esperienza, non intendevo farla diventare un paradigma assoluto, ma credo possa essere uno spunto interessante.
        Verso l’anno e mezzo mia figlia ha iniziato ad osservare consapevolmente le attività quotidiane, imitando i miei gesti e dimostrando interesse. Io sono una disordinata nata, ora sulla strada della redenzione…ma allora eravamo parecchio disorganizzati, e non avevamo quelle che si definiscono “routines” . Ebbene, a tre anni mia figlia aveva già assorbito (ed estremizzato )tutte le mie peggiori abitudini, che ci sono voluti anni per smantellare ( è stato un percorso comune).

        Con il mio secondo figlio, che ha compiuto due anni cinque giorni fa, sono stata molto piu’ attenta a dare il buon esempio e ad essere costante nei limiti, nelle aspettative e nelle richieste; e devo dire che sto facendo molta meno fatica a gestirlo, anche se non ha un carattere meno volitivo della primogenita.

        Per me è stato molto piu’ difficile imparare a stabilire i limiti e a farli rispettare, che abbracciare l’attachment parenting, che in fondo mi veniva naturale. Negli anni sono stata molto criticata da parenti e conoscenti per la mancanza di regole e pe la scelta dell’AP, quasi fossero un tutt’uno…Forse perchè, nel mio caso, lo erano! Invece bisogna essere equilibrati, questo è fondamentale.

  7. tutto ciò che scrivi è verissimo e bellissimo. in certi momenti però qualunque sia la spiegazione un genitore vorrebbe solo scappare. sarà che per me i terrible two sono coincisi in parte con la seconda gravidanza, il che ha portato a una forte insicurezza e emotività in me, con sensi di colpa annessi nei confronti del duenne, oltre a un forte cambiamento in tante abitudini, l’impossibilità di prenderlo troppo spesso in braccio per esempio, che si è riflessa anche nel suo comportamento. per fortuna tutto si è superato, con un grande lavoro di autocontrollo da parte mia, e l’aiuto fondamentale del papà. sarebbe più facile, durante le crisi, perdere la pazienza e agire d’istinto, oppure dargliela vinta. il difficile è proprio trovare quella calma, quell’equilibrio che ti permettere di essere affettuosa, ma allo stesso tempo ferma nelle tue posizioni. in fondo a quell’età i bambini vogliono allo stesso tempo scoprire il mondo e la loro autonomia, ma cercano conferma e sicurezza nei genitori. si impara piano piano a fronteggiare quei momenti difficili, ma è un impegno che paga e i cui risultati secondo me si vedranno anche durante l’altra adolescenza, quella vera, che al solo pensiero mi fa tremare.

    1. Dai, non si prende mai “troppo” un bimbo in braccio! L’unica cosa che deve imparare a capire è il limite rappresentato dal benessere fisico della mamma e dalle necessità altrui.

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