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La storia di Margherita

Imprigionata in uno svezzamento difficile

Oggi la storia di Margherita, una confessione. La storia dei suoi tre figli, di due svezzamenti davvero problematici e della consapevolezza di come far sì che, dopo uno svezzamento difficile, il terzo sia migliore.
Margherita me l’ha inviata rispondendo ad uno dei miei messaggi della newsletter (e se ancora non la ricevete, cliccate qui per iscrivervi!) e ha esordito dicendo

…è un po’ che lavoro a questa e-mail…

Infatti, leggendola, mi sono reso immediatamente conto di quanto debba essere stato difficile scriverla.
Il post che ne è venuto fuori è molto lungo, ma sono certo che non potrete fare a meno di leggerlo tutto d’un fiato.


Sono la mamma di 3 bimbi stupendi: M.A. 4 anni, G.E. 2 anni e 1/2 e R.S. 5 mesi. Mi sono imbattuta in questo sito poche settimane fa cercando informazioni sull’autosvezzamento perché ne avevo sentito parlare e, dato che fra poco potrà essere il momento per la piccola di approcciarsi ai cibi solidi, volevo informarmi bene visto che lo svezzamento tradizionale nel caso degli altri bimbi è stato un totale fallimento.

E devo ringraziare ogni mamma e papà che ha contribuito a questo sito perché leggere questi articoli e commenti per me è stata una vera liberazione. Sono… ERO! – Perché tra la lettura degli articoli di questo sito nelle ore di allattamento notturno e la fagocitazione in 2 giorni del libro di Gonzalez “Il mio bambino non mi mangia“, di cui ho avuto notizia da voi, mi sento redenta! – Ero purtroppo una di quelle mamme che temeva l’arrivo dell’ora del pasto e che se avesse potuto dare una pillola nutritiva ai figli lo avrebbe fatto pur di evitare (a tutti!!) lo strazio di quel momento.

La genetica non mente

La storia che voglio raccontarvi è davvero penosa, ma desidero farlo anche ricorrendo a una certa ironia (ora posso!!!), nonostante l’ovvia vergogna e imbarazzo che provo, perché si capisca quale sollievo e rinnovamento di forze e speranze mi ha dato entrare a conoscenza di questo metodo… non come un metodo vincente per avere un bimbo mangione, ma come un approccio in cui sicuramente mamma, e soprattutto bimbo, saranno sereni al momento del pasto e potranno godere insieme anche di questo tempo, cosa di cui io ho tanto bisogno!

Premetto che sia io che mio marito, a detta dei nostri genitori,  “non mangiavamo”: da una parte c’è mia mamma, che mi portava in giro per casa in braccio imboccandomi o comprando bustoni di giochini e dandomene uno ad ogni cucchiaiata andata a buon fine, e dall’altra i miei suoceri che con mio marito lo placcavano e tappandogli il naso lo imboccavano a forza. Io subivo ricatti psicologici (“Se vuoi bene alla mamma dimostramelo e mangia. Questo per la mamma, per il cane… Ma come, per il nonno no che ti ha fatto la barchetta di carta?”), mio marito fisici; forse essendo maschio erano ritenuti i più appropriati.

Alla luce di questi fatti, dato che la genetica non mente (tra l’altro nemmeno 3 dei 4 nonni mangiavano, quindi i nostri figli avevano almeno 2 generazioni di geni ostili), era ovvio che anche i nostri figli non sarebbero stati dei mangioni. Eravamo preparati e del resto i nostri genitori non so quante volte ce l’hanno augurato, quando eravamo piccoli, di avere un figlio che non mangiava, così avremmo capito finalmente quali martiri stavamo facendo passare loro!

La cosa tragica è che siamo caduti anche noi in quel girone di perdizione del forzare i nostri figli a mangiare e di mezzi ce ne avevano proposti così tanti che non abbiamo nemmeno dovuto usare la fantasia per inventarcene, abbiamo consultato la bibliografia del repertorio familiare e li abbiamo provati un po’ tutti. Che vergogna…
Mi chiedo come abbia potuto…
Ma l’incubo che a mangiare poco potesse capitare loro qualcosa era troppo forte e la domanda che sempre veniva posta e con ansia ad ogni telefonata o visita dei nonni “ha mangiato?” non ha sempre fatto altro che peggiorare lo stato d’animo. L’appetito dei miei figli era quasi un affare di stato.

Prima figlia, M.A. e primo svezzamento difficile

Ci siamo arrivati per gradi, tutto è cominciato con M.A. che era partita benissimo, cresceva come una vitellina (2 kg presi nei primi 2 mesi), io avevo i seni che esplodevano, mi zampillava il latte che perdevo dappertutto. Poi un po’ prima dei 2 mesi il reflusso! È stato il persecutore di tutti i miei figli, ma io all’epoca conoscevo come unico nemico dei neonati le coliche. La pediatra non l’aveva minimamente preso in considerazione e se non ci pensa lei… Io, che desideravo allattare più di ogni altra cosa, allattavo a richiesta nonostante le mille insicurezze, visto che alcuni invece sostenevano che dovessi calcolare minuti di poppata e distanza o anche fare una doppia pesata, tutte cose che non facevo. Non portavo nemmeno al polso l’orologio, dicevo che volevo fidarmi del mio istinto, ero convinta – e lo sono oggi ancora di più – che tra me e mia figlia ci fosse un legame unico e speciale, che solo noi ci potessimo capire perfettamente e che il Signore avesse creato la donna in modo che fosse perfetta per allattare il suo bimbo e il bimbo perfetto per capire come e quando prendere il latte. Ero partita bene ma poi la bimba s’era messa a stare attaccata pochissimo e a intervalli brevi, e aveva rallentato molto la crescita in peso, mentre in lunghezza andava benissimo e poi era sveglia e vivace. Però spesso piangeva, faceva fatica ad addormentarsi in braccio (anche se mia mamma mi dava il cambio e le cantava le opere liriche più agonizzanti mentre io agonizzavo stremata a letto) e di notte ogni ora e mezza voleva il seno. Tutti conclusero che fosse un chiaro segno che aveva fame, che quindi non era ben nutrita e che dovevo prendere provvedimenti oppure mia figlia avrebbe sicuramente avuto problemi di salute, anche gravi! Avevo capito che mia mamma pensava che non avessi abbastanza latte o che fosse poco nutriente, e questo mi feriva profondamente; vedevo nei suoi occhi la disapprovazione per come gestivo la situazione e sapevo delle sue preoccupazioni perché si sfogava con ogni amico o parente, che inevitabilmente mi chiamava con aria da funerale per sapere “Come sta M.A.?”. Mia figlia era malata e io ero una madre sciagurata che non andava da 100 specialisti per farla vedere (come all’epoca aveva fatto mia mamma con me…)

Ero schiacciata da questa situazione e il colpo di grazia me lo diede la pediatra al ritorno dalle vacanze estive perché mi disse: “Questa bimba non cresce abbastanza, DEVI farla mangiare!

Sul libro di Gonzalez ho letto che c’è qualcosa che non va se una mamma esce dallo studio del pediatra mortificata e schiacciata dai sensi di colpa. Quella frase era stata una frustata e mi aveva fatto sentire la madre più incapace, crudele e superficiale del mondo. Non avevo più uno straccio di sicurezza, sapevo solo che DOVEVO far mangiare mia figlia; in ogni modo, costi quel che costi!

Così alla mia bimba di meno di 5 mesi, semi sdraiata sulla seggiolina (non stava ancora seduta per poter usare il seggiolone) e con ancora il riflesso di estrusione, fecero cominciare lo svezzamento dandole col cucchiaino il mio latte fatto a pappetta con la crema di riso. Ovviamente andava ovunque tranne che in bocca… Dopo un tempo di assestamento che mi ero concessa e in cui ho fatto le faccette buffe, ho cantato canzoncine e l’ho distratta con giochini arrivò il senso di frustrazione e anche di angoscia per quel “DEVE” che non stava avendo un riscontro positivo. E quello che poteva, e doveva, essere per la mia bimba un momento di crescita, gioco, apprendimento, condivisione, e di manifestazione d’amore e fiducia da parte mia come deve essere lo svezzamento, per noi è stato un trauma. Ogni aspettativa disattesa, ogni desiderio irrealizzato, ogni gioia svanita.

Da lì sempre peggio, tanto più che ogni bimbo attorno a me era un mangione. Mia figlia sembrava davvero l’unica a non mangiare. Abbiamo fatto ogni tragico errore-orrore possibile e siamo arrivati ai vomiti, anche 5 volte al giorno… Alla fine dopo vari mesi la portai a fare anche tutte quelle visite che mia mamma tanto desiderava che facessi. Alcuni pediatri da cui andai (e che avevano ricevuto il benestare di mia mamma perché lei temeva che per “avere ragione” noi andassimo da pediatri in qualche modo corrotti o di parte – con avere ragione intendo che nostra figlia non era ammalata e non la stavamo trascurando o denutrendo) mi dissero che stava benissimo, era solare, socievole, sicura di sé, sana, minuta, ma bellissima e io vedevo l’incredulità nello sguardo di mia mamma…”che incompetente di pediatra! Impossibile che stia bene questa bambina! Ma non lo vede che è magra? Non ha i rotoli e le pieghe!!!

Mia figlia non poteva stare bene, doveva per forza avere qualcosa o doveva per forza in futuro essere destinata ad avere qualcosa!

Alla fine, molti mesi dopo, il medico che ci ha detto che qualcosa che non andava l’abbiamo trovato: il gastroenterologo che le ha trovato un’ansa nello stomaco e una strozzatura del piloro, per cui lo stomaco si svuotava lentamente. Poi l’osteopata che le ha trovato il punto di stimolazione al vomito in bocca più avanti del normale, per cui con niente vomitava.

A questo punto avremmo dovuto desistere dall’aspettarci che mangiasse molto, invece la domanda era “stando così le cose, come si fa a farle mettere su la tanto agognata ciccia ovvero a farla mangiare di più?

Comunque tanto per la cronaca a un certo momento abbiamo cambiato pediatra.

Tempo prima avevo sentito parlare di autosvezzamento da una mamma felice di una bimba mangiona che rosicchiava le pesche intere e non disprezzava nulla ed era un piacere veder mangiare. Gasatissima la sera stessa ci provai anch’io e, senza essermi documentata di una virgola in più, misi nostra figlia a tavola con noi e dato che c’erano i fagiolini glieli feci a pezzetti e glieli misi davanti. Con immensa gioia vidi che li prendeva per metterseli in bocca ma un attimo dopo… panico! Conato di vomito seguito da vomitino e pianto di spavento (più per la reazione mia e di mio marito, che eravamo balzati dalla seggiola, che altro).

All’epoca non sapevo nulla di riflesso esofageo così non mi posi altri interrogativi, bocciai categoricamente l’autosvezzamento e conclusi che per certi bambini andava bene, per altri no e la mia era una di questi! L’ennesimo fallimento e l’ennesimo scacco all’autostima di una mamma al primo figlio.

Ai suoi 8 mesi sono rimasta incinta e quando G.E. è nato avevo tutti i buoni propositi di non rifare con lui gli stessi errori, quindi allattamento a richiesta, perché continuavo a crederci ma doppia pesata, (così – pensavo – vedo quanto prende e se per caso piange so se è perché ha fame oppure cerco un altro motivo!!).

Secondo figlio, G.E. e secondo svezzamento difficile

G.E. mi ha aiutata a mettere a tacere quelle insinuazioni che non avessi latte o che non fosse nutriente perché a 3 mesi pesava 7 kg, si faceva delle maratone di tetta pazzesche, dormiva e mangiava, mangiava e dormiva. Poi nel giro di poco anche per lui il blocco!

Anche in questo caso fu chiamato in causa il reflusso perché i sintomi c’erano tutti, ma, con il senno di poi, dopo aver letto il libro di Gonzalez e parlato con una volontaria di sos Mama (un’associazione che assiste le mamme in gravidanza e allattamento) capisco che in tutti i casi si è anche verificato quel trend che lui ben descrive, ma questo lo so ORA, quando anche la mia terza figlia ci s’è imbattuta e ho contattato una di queste volontarie (ma qui ci arrivo dopo…anche se l’assistenza alla mamma che allatta e il suo giusto addestramento e incoraggiamento è un altro argomento).

Comunque G.E. aveva un ottimo margine di peso e se mi permettevo di dire un po’ preoccupata “Eh non mangia molto ultimamente” mi guardavano tutti come se fossi pazza. E in effetti lo ero, ma ero terrorizzata dall’esperienza che avevo avuto con M.A. e desideravo solo che lui, arrivato il momento dello svezzamento, mangiasse!

Quel momento arrivò, più cauto, a 6 mesi compiuti, con metodo tradizionale e ricetta classica (una delle tante, brodo di patata e carota filtrato e crema di riso). Ma a G.E. il cucchiaino non interessava minimamente; lui voleva solo mettere le mani nella ciotola, anzi sbattercele dentro per far schizzare tutto in giro e poi magari ciucciarsi il palmo giusto per capire un po’ meglio cos’era questa roba appiccicaticcia.

Mi ricordai dell’autosvezzamento e pensai: “Forse questo bimbo è uno di quei bimbi giusti per applicarlo” (!!!!) così, di nuovo (e anche qui riconosco le mie colpe) senza approfondire, passai alle consistenze solide e dopo un po’ di pappa, che risultava sempre fallimentare – ma lo facevo perché tentar non nuoce, dopotutto qualche volta qualche cucchiaino lo mangiava… – cominciai a proporgli il nostro cibo. Amava pazzamente gli spaghetti al sugo che si spalmava dappertutto; lo vedevo che si divertiva, ma vedevo anche che alla fine del pasto non aveva mangiato praticamente niente. Era tutto addosso, per terra, incastrato nei meandri più nascosti del seggiolone, nel pannolino – ma senza essere passato dall’intestino – inoltre era disarmante lo sguardo dei parenti o degli amici, un misto di disgusto per come lui si combinasse (e combinasse quel che c’era nel suo raggio d’azione, non ricevevamo molti inviti in quel periodo 😉 ) e di disapprovazione verso un metodo di nutrire nostro figlio chiaramente fallimentare e controproducente. Sicuramente il nostro “metodo” avrebbe avuto bisogno di perfezionamenti, alla luce delle conoscenze che ho ora, ma in ogni caso quello era l’unico approccio possibile visto che delle pappe G.E. non ne voleva sapere. Ora con il cibo vedo benissimo che ha un rapporto molto più bello di M.A. che è andata avanti a pappe (lasagne frullate, tortellini frullati, tutto frullato…) fino a circa 2 anni e a farsi imboccare fino a poco tempo fa, e sono sicura che dipende da quel minimo di sperimentazione che gli abbiamo concesso.

Perché poi ci siamo stufati! Il gioco secondo noi non valeva la candela, non mangiava (che rimaneva l’obiettivo supremo!) così ci siamo messi a dargli da mangiare noi, anche a lui con qualche distrazione, quel che decidevamo e quanto credevamo fosse opportuno!

G.E. a differenza di M.A. non ha quasi mai vomitato, la sua tecnica consisteva nel tenere il boccone in bocca fino allo sfinimento (anche 45 minuti un pezzetto di polpetta). Non per vantarmi, ma in questo ha preso da me (mia madre mi racconta sempre che ho tenuto un boccone di pizza in bocca di lato per 3 ore..e il pediatra si era raccomandato di non darmene molta perché c’era il rischio che, come si fa con le cose più appetitose, poi ne mangiassi troppa).

Leggendo commenti e libri mi rendo conto che gli errori che si potevano fare li abbiamo fatti tutti; motivati dall’unico obiettivo “che questi bimbi introducano cibo” in famiglia abbiamo fatto ogni sbaglio lecito e illecito: la tv, i giochi, le storielle, intrattenimenti vari di persone malcapitate varie, l’inganno – fingo di darti l’acqua ma quando apri la bocca invece arriva il cucchiaino… che vergogna – le minacce, il ricatto, anche stroncare il desiderio dei bimbi di mangiare da soli perché se no ci mettevano troppo tempo o si sporcavano. Ore, ore e ore interminabili e distruttive a tavola nelle quali invece si sarebbe potuto fare giochi insieme, leggere libri, chiacchierare in armonia (tra l’altro guarda caso il momento del pasto è quello in cui mia figlia mi racconta più cose e fa le domande più disparate… e io invece che godermi questi momenti impagabili e irrecuperabili molte volte tagliavo corto dicendo “Non distrarti, mangia!
So che tante mamme saranno inorridite e avranno di me la più brutta opinione ma so anche che molte mamme invece mi capiscono).

Ore, ore e ore sprecate! Prego di non aver causato danni psicologici ai miei figli e prego che, in caso, io possa porvi rimedio perché capiscano quanto in realtà li amo, li apprezzo, li stimo indipendentemente da quello che fanno, solo perché sono i miei figli. Nei momenti del pasto non è mai arrivato loro questo messaggio, ma le cose cambieranno. Ho sempre sognato il momento del pasto come un momento di aggregazione della famiglia, di dialogo, di crescita, di arricchimento. Finora non lo è stato perché l’unica crescita che mi interessava era quella fisica, ma i miei figli hanno ormai un’età in cui è impossibile non pensare a quale sia la crescita che realmente conta!

Terza figlia, R.S.: cambiamo approccio!

Adesso ho anche una possibilità per rifare realmente tutto da capo e per bene con la mia terza bimba.

Insomma, sono arrivata vicina al momento dello svezzamento per la mia terza figlia e invece che essere angosciata come le mie precedenti esperienze potrebbero farmi sentire, mi sento serena perché non avrò aspettative! La mia bimba prende il mio latte e quando si sentirà pronta sperimenterà il mio cibo, si sporcherà ma farà le sue esperienze e io sarò ben felice di assistervi e condividere la gioia di ogni scoperta! Prevedo che non sarà una mangiona, ma a me interessa che sia serena e che possa raggiungere presto l’indipendenza! Sto conservando gelosamente, alcuni salvati in pdf altri salvati in testa, ogni consiglio e suggerimento che ho trovato in questo sito soprattutto di ricette, perché confesso che i miei figli mi avevano fatto passare un po’ la voglia di sperimentare in cucina.

Vedremo R.S. come si comporterà, vi farò sapere!

Intanto un grazie di cuore a tutte voi mamme autosvezzanti che siete un esempio di mamme che hanno saputo fidarsi del loro istinto e delle loro capacità e sono andate contro a pediatri, nonne e cattivi consiglieri vari, cosa che io finora non avevo saputo fare fino in fondo!

Margherita


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12 risposte

  1. La primissima cosa che ho pensato leggendo questa storia è che questa mamma si merita un abbraccio fortissimo!!
    Purtroppo è cosa comune di tante/i avere grandi aspettative in termini di peso messo dai propri figli e cibo ingurgitato. L’ho provato con la prima figlia, con cui ho ceduto alle aggiunte di latte artificiale e sono passata attraverso uno svezzamento tradizionale fallimentare, e ci stavo per ricadere col secondo, dopo un rallentamento della crescita (e pensare che ero partita dicendo che non avrei voluto pesarlo), ma per fortuna mio marito mi ha sostenuto tanto e mi sono fidata del mio bimbo, che sta crescendo con il suo ritmo e sta iniziando a mangiare con il suo appetito.
    Tanti auguri mamma, vedrai che questo svezzamento andrà benissimo e soprattutto lascia andare i sensi di colpa nei confronti dei primi due figli!

  2. Cara Margherita, la tua storia è veramente illuminante per me. Mio figlio ha sette mesi, allattato a richiesta, e da un mese sto provando a svezzato tradizionalmente man in c’è verso, non ne vuole sapere. Stavo per arrivare ai ricatti quando ho trovato questo sito, e leggendoti mi dico, sempre più convinta, che devo informarmi su questo approccio perché forse è qui la chiave giusta per lui. Spero di riuscire a fronteggiare le ostilità che arriveranno dal contorno. Grazie!

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