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Capriccio, peccato e industrializzazione

vizi e capricci, peccato e industrializzazione
Luigi XIV a balia

Quanti di noi hanno sentito voci piene di rimprovero che al vedere un bambino piangente preso in braccio dalla mamma (o dal papà) sentenziavano, “questi sono vizi” o “questi sono capricci”? Vizi e capricci sono sempre lì come un arma pronta a criticarci.

Oramai, autori ben informati (i) hanno ampiamente dimostrato quanto sia artificiosa e contro natura – oltre che controproducente dal punto di vista educativo – questa visione, ma… da dove viene?
Gli stessi autorevoli autori fanno riferimento in maniera generica alla nostra “società a basso contatto”, prodotta dall’era industriale e dalle sue fisime di efficienza, razionalità e velocità. Se vogliamo situare l’inizio dell’era industriale al primo mulino di pietra per macinare le olive, allora forse è così, in quanto si collega abbastanza strettamente con l’ossessione dell’uomo di dominare la natura. Altri collegano questa visione alla mentalità religiosa “colpevolista” e puritana. Raccogliendo le mie varie letture e quanto studiato all’Università, cerco di dare una scorsa al passato e di capire…

Vizi e capricci

Nel millennio precedente l’Era cristiana, le varie religioni del tempo, dall’India al Medio Oriente e all’Europa, ma anche i miti della Polinesia, stavano passando alla fase in cui i grandi Dei o eroi mitologici non potevano più esser nati da una madre – per quanto fosse Dea – ma dalla testa o dalla coscia di un Dio maschio.

La Dea madre, già da secoli affiancata da un consorte che è andato prendendo sempre più importanza, sparisce e il potere creatore dell’universo passa al Dio maschio, un potere creatore verbale, cerebrale (ii). La “nascita di carne” dalla “morbida” madre era troppo umiliante e disgustosa (proprio come in “A Brave New World” di Huxley). Addirittura,  l’utero materno è considerato un luogo di tenebre caotiche e gelatinose nelle quali il principio virile è “caduto” dal suo cielo di luce astratta e ordinata, votandosi così alla morte (iii).

La filosofia greca dominante esalta l’assoluta inferiorità del corpo e dell’affettività rispetto alla mente razionale: il corpo è una macchina da guerra o un oggetto estetico, nella migliore delle ipotesi uno strumento di gioco, se non una realtà indegna da trascurare completamente.

Anche nell’Antico Egitto, la brama per la meccanizzazione, l’ordine, il potere, la prevedibilità e soprattutto il controllo, viene addirittura analizzata da Erich Fromm come necrofila, in opposizione alla natura e alle cose viventi che vanno soffocate e irreggimentate (iv).

vizi e capricci

Proprio in quel frangente, a far invertire la rotta si propone il Dio che sceglie di nascere nell’umiltà di una stalla da una normalissima mamma umana. Viene il Cristo che proclama il proprio corpo, mortale, torturato dall’aggressività e la stupidità umane, ferito, con i piedi sporchi anche da resuscitato: il Tempio di Dio.

Questo rinnovato rispetto per l’essere umano in quanto tale, donna o schiavo che sia (allora considerati uniformemente, così come i figli, semplici beni del pater familias), nella sua natura fisica quanto spirituale, troverà uno sviluppo straordinario nei primi 1000 anni dopo Cristo, non a caso promosso in maniera fortissima dalle donne. Donne che faranno fiorire comunità spirituali ed intellettuali nelle quali anche il corpo era rispettato e curato, contrariamente a quanto solitamente si crede (v)… purtroppo praticamente annientate dalla grande peste del 1200.

Per il bambino, la strada è ancora lunga… Sant’Agostino, impregnato di filosofia greca, si dilunga sulla colpevole ignoranza, passione, capricciosità, corruzione e imperfezione dell’infanzia, andando fino a contestare Gesù Cristo nel suo richiamo ad essere “simili ai bambini, poiché il Regno di Dio appartiene a loro”, e a far venire a lui i bambini piccoli. Perché? Perché se lui, adulto, reclamasse con tanta passione un alimento consono alla sua età quanto un bimbo reclama la tetta, sarebbe sicuramente peccato!!! Trova la scappatoia, asserendo che quanto lodato nel bambino era… l’umiltà, l’essere l’ultimi degli ultimi, votato solo all’ubbidienza.

Nonostante ciò, il messaggio è passato: in generale il Medioevo è piuttosto tenero, il “corpo” – a cui la religione non s’interessa quasi per niente, né in bene, né in male – causa pochi problemi, così come la fisicità del rapporto madre-bambino. Anzi, la Chiesa insiste molto sulla figura di Maria, vergine – prevalentemente come segno di indipendenza dal potere/possesso maschile, aspetto all’epoca fondamentale – e madre, dolce e amorevole.

L’igiene è importante (girano per le città i venditori d’acqua calda per fare il bagno, e ci sono ovunque bagni pubblici), e la medicina naturale ancora ampiamente praticata da donne riconosciute come medico. I bambini restano con la madre fino a 7 anni, dopodiché i maschi passano sotto l’autorità educativa del padre.

Tutt’altra civiltà rispetto a quella che, dopo l’anno 1200, con l’avvento dei cosiddetti “Sorbonnards” (quelli della Sorbona di Parigi) fa sì che il sapere debba essere sancito dall’istituzione universitaria, drasticamente preclusa alle donne, strettamente teorica e staccata da ogni saggezza tradizionale/naturale (con tanto di caccia alle streghe). Allora tutto quello che era corpo, e la donna in quanto rappresentante dell’”umiliante” fisicità umana, era Male (vi).

Dopo il ‘400, anche in linea con lo sviluppo delle teorie puritane che negano ogni libertà all’uomo (vii), e l’affermazione di poteri assoluti come quello reale in Francia, si scatenerà la teoria della pedagogia ultra repressiva per “estirpare la corruzione”, seguita poi fino al ‘700. Il bambino è l’antitesi dell’uomo razionale, vive allo stato di bestia, qualche autore parla persino di “abiezione”; Cartesio e Spinoza lo considera debole e in stato di errore da cui va liberato. Le madri tenere sono colpevoli di tutti i mali e di tutti i vizi poiché mantengono i piccoli in questo stato sotto-umano invece di farli diventare esseri senzienti, e la loro colpevole voluttà nell’allattare è fonte di peccato atroce (viii)

Nel ‘700, il sommo ideale delle classi agiate era… l’automa. Il robot. Testimoni il modo di vestire tutto stecche e ricami rigidissimi, le parrucche incipriate e i visi truccati di bianco al punto di sembrare maschere, i balli di corte quali il minuetto. A questa epoca, complice il rinnovato entusiasmo per le scienze che permetteranno di capire tutto, controllare tutto, la natura è buona solo ad essere dominata e irregimentata.

Si considerava che una donna non poteva, senza decadere al rango di bestia, occuparsi dei propri figli piccoli, l’allattamento era puramente e semplicemente considerato come disgustoso e sporco, e si usava mandare via i neonati appena partoriti, per diversi anni presso le balie, anche al costo di una mortalità spaventosa. Il bambino che torna dai genitori, se torna, è un bambolotto, un giocattolo, un macchinario che si può “programmare” e che, se funziona, ubbidisce impeccabilmente alle esigenze dei genitori (ix).

Da lì, poiché c’era moria di bambini e grave carenza educativa, nasce il fortissimo impulso contrario che ha condotto a magnificare l’istinto materno fino a farne praticamente l’unica ragion d’essere della donna, ancorché l’invocare la natura non abbia sempre significato rispettarla e amarla (x).

Questo il nostro retaggio, queste le fonti plurisecolari di una cultura per la quale il profondo bisogno di contatto fisico del bambino viene considerato “vizio”, “colpe” le naturali irrazionalità e incapacità a relativizzare, e la tenerezza dei genitori un pericolo. Per questo nella stupida fiction TV “per le famiglie” il bambino Gesù nasce bambolotto cicciotto, liscio, pulito, da mamma pettinata e truccata: perché la nostra idea di divinità, in fondo in fondo, non può accettare la condivisione della natura biologica umana. Perché il nostro culto, contro ogni messaggio evangelico, va al razionale, al veloce, all’automatico, alla regola. La lotta tra queste due tendenze dura da millenni.


(i) Per esempio: Alessandra Bortolotti “E se poi prende il vizio?”, Carlos Gonzàles “Besame Mucho”
(ii) Elizabeth Badinter: L’Uno è l’Altra, 1986, ma anche Erich Fromm : Analisi della Distruttività Umana, 1973
(iii) Simone de Beauvoir: Il Secondo Sesso, Tome 1
(iv) Erich Fromm : Analisi della Distruttività Umana, 1973
(v) Régine Pernoud: La Femme au Temps des Cathédrales, 1980 : le regole degli ordini religiosi prevedevano espressamente di lavarsi, anche più volte al giorno
(vi) Qui non ho un riferimento bibliografico, era il corso di Storia delle Istituzioni quando andavo all’Università
(vii) Erich Fromm : Fuga dalla Libertà, 1941
(viii) Cfr. Elizabeth Badinter – l’Amour en plus – storia dell’amore materno, ed. 1980
(ix) idem
(x) idem

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